sabato 5 marzo 2011

Approvvigionatori


No, decisamente non è stata una lettura facile. Semiotica e filosofia del linguaggio di Umberto Eco è una raccolta di saggi densa di concetti che, se risultano ostici allo specialista, rischiano di presentarsi completamente impermeabili a chi si avvicina da principiante agli studi filosofici.

Se è vero che “non avrai veramente capito una cosa finché non sarai in grado di spiegarla a tua nonna”, devo ammettere che avrei non poche difficoltà a parlare di questi saggi anche ad un lettore più avvertito di mia nonna. Terminare una pagina per constatare la necessità di riprenderne la lettura dalla prima riga è stata un’esperienza non infrequente, ma raccogliere i frutti di questa scansione lenta, accidentata e “forzatamente” meditata, mi ha ampiamente ricompensato.

Dovendo individuare la sezione che maggiormente ha incontrato i miei gusti di lettore (probabilmente perché meno peregrina rispetto alle mie limitate competenze in materia), sceglierei senza dubbio le pagine dedicate a Simbolo, metafora, allegoria. Pagine che, per chi avrà l’interesse di addentrarsi nella loro lettura, presentano, tra l’altro, un’interessante analisi di un sonetto del Cavalier Marino.

Il titolo di questo post, però, è giustificato dalla perenne attualità di una citazione che l’autore trae dalla Retorica di Aristotele e che, come sempre in questi casi, conferma l’immortalità di un pensiero attraverso i secoli, strumento di lettura, quindi, anche per la nostra epoca:

«[…] lo sapeva bene il filosofo quando lamentava che i pirati avessero ormai l’impudenza di definire se stessi approvvigionatori, e che il retore è abile nel chiamare crimine uno sbaglio o sbaglio un crimine. Basta ai pirati, pare, trovare un genere a cui la loro specie si accordi e manipolare un albero di Porfirio attendibile: è ‘reale’ che essi trasportano mercanzie per mare, come gli approvvigionatori. Ciò che è ‘derealizzante’ (ovvero ideologico) è selezionare quella fra tutte le proprietà che li caratterizzano e attraverso questa scelta farsi riconoscere