lunedì 2 gennaio 2012

Gli struzzi

Il primo post di quest'anno trae spunto dall'articolo con cui Corrado Stajano ricorda oggi, sul Corriere della Sera, la straordinaria impresa culturale di Giulio Einaudi, nato a Torino il 2 gennaio 1912.
Se questo non è certo il luogo dove tributare l'ennesimo omaggio ad una casa editrice che ha pubblicato De Sanctis, Gobetti, Gramsci; che ha fatto conoscere agl'italiani Borges e Brecht, utilizzo questo spazio per inserirmi in una polemica che ha riguardato alcune case editrici in particolare (Einaudi, Mondadori e gli altri editori acquisiti da Berlusconi), e che rischia di allargarsi in generale ad altre forme di produzione culturale.
Chi scrive non è certo sospettabile di simpatie berlusconiane o mercatiste, ma devo confessare che non riesco a condividere l'atteggiamento di coloro i quali, in nome dell'antiberlusconismo o di qualsiasi ipocondria anticommerciale, rifiutano di acquistare libri editi da case editrici cadute sotto il controllo del Biscione.
Pur tralasciando il fatto ovvio che l'enorme bagaglio storico-culturale di Einaudi travalica felicemente e gloriosamente l'attuale parentesi berlusconiana, mi appaiono oscuri i motivi per i quali dovrei privarmi della lettura di Sciascia, di Calvino, di Primo Levi.
Mi si risponderà che si tratta di non foraggiare le già pingui casse dell'ex premier.
Credo, però, di poter replicare che in questo caso si rischia davvero di "buttar via il bambino con l'acqua sporca", e di creare, semmai, un danno più grande di quello che si vuole scongiurare.
Come è noto, parte non trascurabile dell'editoria, dei mezzi di comunicazione e di produzione culturale italiani, ha dovuto subire l'influenza della longa manus berlusconiana, spesso giunta beffardamente in articulo mortis. Allo stesso modo, chi volesse, per coerenza, evitare di acquistare prodotti reclamizzati dall'"Impero del Male", avrebbe serie difficoltà, secondo me, a fruire di molti servizi e beni di uso quotidiano.
Tornando al bambino e all'acqua sporca, credo che privarsi della lettura di un buon libro, porti paradossalmente nella direzione che per noi immagina chi della cultura sa fare solo mercato, quando non strame.