lunedì 22 novembre 2010

Fili intermentali

Questa settimana ritrovo con piacere Alessandro Bergonzoni, autore di una rubrica sul Venerdì di Repubblica, “Aprimi cielo”. Tentare di classificare o incasellare in una categoria Alessandro è quanto meno riduttivo, ma non mi sembra sbagliato considerarlo un vero e proprio “artigiano” della parola, un artista che ha fatto del sapientissimo uso del calembour la sua particolare cifra stilistica, che ho imparato a conoscere e ad apprezzare con Madornale 33, un suo spettacolo del 1999.

La rubrica di venerdì scorso affronta, naturalmente secondo il “metodo” Bergonzoni, i pensieri come «filo intermentale tra un’ansia e l’altra», in un immaginario dialogo tra medico e paziente. Eccone un estratto:

E per quanto riguarda il dolore?

Per tutto il tempo che lo guarda lei.

Ma il male quando passa?

Non ha un orario preciso e non fa fermate. Si metta sotto la pensilina e pensi: i pensieri sono come un filo intermentale, lo passi tra le fessure dell’ansia, tolga i resti dei rospi che ha mandato giù, i pensieri non sono problemi, son creature.

Ne ho una mandria.

Bivacchi con loro e li foraggi, poeticamente, pascoli. Ma si ricordi: l’intelligenza è diversa dal pensiero, una si ha, l’altro è lui che ti sceglie.

Come la rabbia e il cane?

Vedo che mi segue, ma spero anche che presto mi sorpassi sui paradossi, dove appunto non si sa chi stia arrivando dall’altra parte…

venerdì 12 novembre 2010

Se hai una montagna di neve, tienila all'ombra

Un blog dal nome “Ho letto”, non può non occuparsi della pur vexata quaestio circa il rapporto degli italiani con la lettura e, più in generale, con la cultura. Periodicamente, autorevoli ricerche raccontano di un paese nel quale il numero dei lettori continua a ridursi. Non mancano, d’altra parte, sondaggi che sostengono un’inversione di tendenza, soprattutto nelle fasce giovanili della popolazione.

L’aspetto secondo me più importante della questione, è stato affrontato dal bell’articolo di Edoardo Nesi apparso su Repubblica del 1 settembre 2010, Se tutti amano la cultura e nessuno legge un libro.

Nell’agosto 2009 l’autore ha percorso in lungo e in largo l’Italia per girare il nuovo film di Elisabetta Sgarbi, Se hai una montagna di neve, tienila all’ombra. L’idea del film consisteva nello svolgere una specie d’inchiesta non accademica e non statistica sullo stato della cultura in Italia. Si trattava di intervistare una gran quantità di persone per chiedere loro cosa fosse la cultura e cosa ne pensavano. Se leggevano, e cosa. A partire da Umberto Eco, fino alle ragazze che passeggiavano all’una di notte a Campo de’ Fiori; da un barcaiolo sul Po a Laura Morante.

La parte più interessante, ovviamente, arriva dalle risposte della cosiddetta “gente comune”: la cultura è importante, importantissima. Peccato che, quando veniva chiesto se leggevano, la risposta era quasi sempre no. L’importanza di questo film, credo, sta proprio nel rappresentare la mancanza d’imbarazzo delle persone nel raccontare che a leggere si annoiano, che non hanno tempo: «un documento sconfortante sull’irrilevanza della cultura nel formarsi delle più o meno libere opinioni della stragrande maggioranza delle persone.

Splendide eccezioni, quei meravigliosi vecchi che ogni tanto fanno capolino nel film, e che a dover confessare che non leggevano da decenni si vergognavano ed abbassavano gli occhi, ma poi di colpo sembravano come riscuotersi e si mettevano a recitare a memoria con lo sguardo fisso dentro la macchina da presa dozzine di terzine incatenate dal “Canto Quinto”, sdentati e sorridenti, per qualche attimo felici, ancora e sempre perdutamente innamorati del ricordo di un libro.»

giovedì 17 giugno 2010

Lady Oscar ci manchi

Chi scrive appartiene alla generazione cresciuta negli anni 80 con i cartoni giapponesi. Per questo motivo il post di oggi racconta l’articolo di Antonio Scurati, comparso su La Stampa del 5 giugno, Nei secoli fedele a Lady Oscar.

Non si tratta, è bene precisarlo, di una celebrazione della nostalgia di massa dell’infanzia televisiva perduta. Si vuole piuttosto analizzare, pur nei limiti di un breve articolo di giornale, l’impatto dei cartoni giapponesi in «un’Italia dominata dai film di Jerry Calà, dal disimpegno craxiano; […] l’epoca declinante del night […] e l’alba dei telefilm americani ostinatamente stupidi, del dio dell’intrattenimento e del consumo di storie».

Fu proprio nel mezzo di questo panorama, dominato dalla moda del paninaro, dalla pubblicità del Mulino Bianco e da Okilprezzoègiusto, che «irruppe la pura forza del racconto mitico dei cartoni giapponesi: L’uomo Tigre, Capitan Harlock, Lady Oscar, Ken il guerriero». Nella gravità di quelle storie, spesso atroci, c’era gente che moriva in combattimento, «[…] c’erano grandi tradimenti, forti passioni. I cartoni animati giapponesi furono gli unici prodotti di consumo per l’infanzia capaci di affrontare questioni morali fondamentali.

Quegli eroi […] offrivano conflitti psicologici seri, drammi edificanti, passioni erotiche travolgenti, tutto quello che il merchandising sull’infanzia nato proprio negli anni 80 impediva di provare a un bambino. Lady Oscar non era la Barbie. Quei cartoni morivano, quei cartoni soffrivano, provavano desideri carnali e passioni ideali. Come i bambini, quei cartoni erano capaci di sentimenti, e per questo sanguinavano, lottavano, si tagliavano.

I manga giapponesi diventarono così, negli anni 80, ultimo albergo dell’anima infantile, e restituirono all’infanzia la sua sconfinata tristezza. Il sentimento più sacro e intoccabile provato dai bambini».

mercoledì 2 giugno 2010

Gattopardi tedeschi

Vanna Vannuccini ha intervistato per Repubblica del 1 giugno Uwe Tellkamp, autore del romanzo La torre. L'opera si inserisce all'interno di quello che ormai è un ricco filone saggistico-narrativo che affonda le proprie radici nell'analisi dei fenomeni che ruotano attorno all'esistenza (e alla caduta) del Muro di Berlino.
Per gli appassionati del tema è facile richiamare alla mente la pellicola Goodbye Lenin, così come l'interessante raccolta di saggi Nostalgia, edita da Bruno Mondadori.
Il recente ventennale della caduta del Muro ha certamente propiziato l'uscita di nuovi contributi sull'argomento, e La torre, appunto, ci consente una nuova e totale immersione nella vita della DDR, nelle sue contraddizioni, nei suoi paradossi.
«La vita - racconta Tellkamp - era piena di contraddizioni. Da una parte il tempo era rallentato, e questo rallentamento provocava uno strano spostamento temporale. Leggevamo Thomas Mann, Bassani, Tomasi di Lampedusa e ci sembrava che parlassero di noi, del nostro tempo. Anche noi ci sentivamo abbandonati a noi stessi, sentivamo che qualcosa stava finendo, come il gattopardo celebravamo mondi e valori dissolti, ed eravamo perciò condannati alla malinconia».
Non si tratta, ovviamente, di nostalgia per uno Stato meschino, dittatoriale, ottuso, penetrato da una mostruosa rete di spie. Si tratta, semmai, dopo vent'anni, e dinanzi alle "magnifiche sorti e progressive" di un modello di sviluppo che ha creduto di poter calpestare vittorioso le macerie di quel Muro, si tratta, voglio dire, di cercare alternative e gettare lo sguardo ad altri modelli di società, di distinguere tra il paese e lo Stato, un paese che aveva «i suoi lati silenziosi, modesti, confortanti».
Questa è la differenza che soprattutto oggi Tellkamp individua tra autori dell'Est e dell'Ovest: nei primi «resta una voglia di utopia, il culto dell'indagine sociale, la fede nel ruolo sociale dell'arte; e il desiderio di essere "seri", il rispetto della tradizione, il bisogno di misurarsi con i grandi nomi del passato».

giovedì 20 maggio 2010

Leggete, leggete. Sarete più liberi.

Il post di oggi prende le mosse da un articolo comparso su Repubblica del 3 maggio. Si tratta di un'anticipazione del saggio di Michèle Petit, Elogio della lettura, edito da Ponte alle Grazie.
"Se l'esperienza della lettura continua ad avere un senso per tante donne e [...] tanti uomini, per bambini e adolescenti, [...] è a mio parere prima di tutto perché per loro leggere costituisce un ambito privilegiato in cui elaborare un universo interiore e quindi, di riflesso, per relazionarsi con l'universo esteriore; prima di tutto perché la lettura permette di dar forma alle loro esperienze, di attribuirvi un significato. [...] Non che essa sia in grado di porre rimedio a tutto - pensarlo sarebbe un'ingenuità - ma di certo contribuisce a dare forma alle pulsioni distruttive, a elaborare pensiero, a regalare quella libertà in più che serve per spingersi oltre i sentieri tracciati dal destino."
Ed è a proposito di "spingersi oltre i sentieri tracciati dal destino" che ho il piacere di ricordare l'uscita del recente saggio di Eva Cantarella, Sopporta, cuore..., intervenuta alcune settimane fa a Linea Notte su RaiTre: «anche Ulisse sa che alla volontà degli dèi è difficile sottrarsi per spingersi», appunto, oltre i sentieri tracciati dal destino. «Ma sente di poter scegliere la sua strada, se vuole: quella scelta è la storia di una faticosa presa di coscienza, una fondamentale, lunga e difficile conquista del pensiero, e una straordinaria "invenzione"».

giovedì 29 aprile 2010

Ha vinto Marx?

Loretta Napoleoni non ha certo bisogno di presentazioni. Dopo aver letto “Economia canaglia” e “La morsa”, leggo con piacere sul Venerdì di Repubblica della settimana scorsa (23 aprile), un’intervista nella quale l’autrice presenta Maonomics, il suo ultimo lavoro, edito da Rizzoli.

All’indomani dell’apparente “fine della storia”, accompagnata dall’altrettanto apparente vittoria del neoliberismo, Loretta Napoleoni cerca di spiegare la sua provocatoria risposta alla domanda che molti si pongono oggi di fronte all’emergere della Cina: chi ha veramente vinto la Guerra fredda? Ebbene, l’inaspettata risposta è: il marxismo.

Nel dare questa risposta, aggiunge però l’economista, si rischia di essere fraintesi poiché marxismo, per noi occidentali, è spesso sinonimo di marxismo-leninismo e della fallimentare esperienza sovietica.

Pur prendendo necessariamente in esame quelle che sono le storie di sfruttamento della classe lavoratrice cinese, in un paese ancora in via di sviluppo, il saggio racconta la storia recente di una Cina che non conosce recessione, grazie anche al “capi-comunismo”, un modello che ha funzionato meglio di quello occidentale, dimostrando la flessibilità necessaria per trarre vantaggio dai profondi mutamenti dell’economia mondiale.

Nel desolante panorama di un’informazione che si limita a ripetere stanche vulgate sulla globalizzazione e i suoi profeti, i saggi di Loretta Napoleoni ci offrono un originale e stimolante punto di vista su una crisi le cui cause ci sono spesso negate, ma i cui effetti gravano sui nostri giorni.

giovedì 22 aprile 2010

Documentalità e... Fidanzate automatiche.

Dopo settimane di titubanza, mi sono finalmente deciso a dar vita a questo blog attraverso il quale spero di poter condividere esperienze di lettura. Probabilmente non riuscirò ad aggiornarlo quotidianamente, ma cercherò di scrivere almeno una volta a settimana, confidando anche negli stimoli di chi avrà la pazienza di leggere. Diversamente dal sito ioleggo.com, dove presento alcuni dei titoli che occupano gli scaffali delle mie librerie, tenterò qui di dare un resoconto delle letture più interessanti tratte da quotidiani e periodici, riferite ovviamente alla pubblicazione di libri e alle loro recensioni.

Due giorni fa ho avuto la fortuna e la sorpresa di "incrociare" nuovamente la strada di un saggio dal titolo singolare e dalle attraenti pagine...

L’articolo di Alessandro Baricco, “Filosofia degli oggetti sociali”, pubblicato martedì 20 aprile su Repubblica, presenta “Documentalità. Perché è necessario lasciare tracce” il nuovo saggio di Maurizio Ferraris, docente di filosofia teoretica presso l’Università di Torino.
La recensione di Baricco, oltre ad essere un’interessante narrazione di una esperienza di lettura, mi ha immediatamente ricordato le recenti e stimolanti pagine de “La fidanzata automatica”, dello stesso Ferraris. Il titolo dell’articolo rimanda, infatti, efficacemente a quei particolari oggetti definiti sociali, oggetto (mi sia perdonato il bisticcio) di studio, nella loro variante rappresentata dalle opere d’arte, nel saggio sopra citato.
Nel campo degli oggetti, una categoria speciale è costituita da quelli che Ferraris chiama oggetti sociali: una promessa, un debito, una recensione, un messaggio sul telefonino, un atto d’acquisto, un quadro e così via. Oggetti, sì, ma non della stessa specie della montagna o del capello: non esisterebbero se non esistessero almeno due soggetti che li suscitano, li registrano e in essi si incontrano.
Partendo dalla denuncia della forzatura kantiana, secondo la quale ciò che esiste, esiste perché noi lo percepiamo, e nei modi dettati dalla nostra percezione, Ferraris ci conduce alla scoperta di una duplice risposta all’interrogativo circa le possibilità del soggetto di controllare l’oggettività: l’esercizio della verità, da una parte (coltivato in zone protette, come la scienza, la filosofia e, forse, l’arte), e la gestione della realtà, dall’altra, attraverso un quasi-sapere superficiale ma utile, con cui ci muoviamo tutti i giorni.
Che altro dire? Una recensione non è che uno spunto offerto da un punto di vista, e non può esaurire approfonditamente tutti i temi trattati dal saggio. Chi ha apprezzato “La fidanzata automatica” non può che tornare in libreria per saperne di più.