Quando
il 4 agosto ho appreso della scomparsa dell’architetto Renato Nicolini, i miei
pensieri sono tornati al periodo in cui, analizzando le pagine de l’Unità
pubblicate tra il novembre ’89 ed il febbraio ’91, ebbi modo di apprezzare la
sua rubrica Notturno Rosso. Il mio
modesto contributo al suo ricordo vuole essere la proposta, sulle pagine di questo
blog, di alcuni brani del suo intervento del 1 dicembre 1989, un intervento che,
a più di vent’anni di distanza, conserva a mio avviso immutata la sua attualità
e la sua efficacia nei confronti di un panorama politico che non sembra aver
mosso molti passi in avanti.
Proviamo
a ripartire da Palombella Rossa. Che cosa mi è piaciuto di più in quel film? Il
rifiuto della politica come «professionalità», sapere rispondere «correttamente»
alle domande dei giornalisti cioè eluderle, entrare nel rifugio dei mass-media
che esclude diversità e conflitto. Mi è piaciuta la rivendicazione della politica
come scelta fatta liberamente.
La
politica, più che come scelta di vita, farsi «rivoluzionario di professione»,
come una possibilità in più della vita, un diritto che dovrebbe essere offerto
a tutti i cittadini. […]
La
politica, posso ripetermi?, è un diritto che non può essere espropriato,
esercitato unicamente dal Palazzo. I diritti debbono però essere rivendicati. È
cosi che la politica come «professionalità», come «omologazione», quella politica
che non può che vedere i comunisti perdenti, può cambiare le sue regole: perché
cambiano quelli che la praticano. E' per questo che è urgente un rinnovamento
della forma politica italiana, se posso usare questa espressione, così bloccata, così tagliata su misura per gli interessi di chi è già potente. Eh,
già! ma questo rinnovamento può avvenire solo se chi ha voltato le spalle
alla politica la sente come un diritto (quante ripetizioni!) e non come un
sopruso; se decide di partecipare, esprimendo le proprie idee, i propri bisogni
e desideri, in forma politica. Cosi la politica riprenderà
a cantare. […]
Caro
lettore, ti sarai accorto che non riesco a tenere il filo dei miei pensieri,
che ho scritto un esordio tutto diverso da quello che avevo in mente? Avrai
però intuito che volevo esprimere un certo disagio per
il modo in cui il dibattito interno al Pci sta partendo. I comunisti italiani,
dopo tanti anni nei quali la lealtà al Partito e la sua unità sono state le nostre
bussole ed un po' anche il nostro porto sicuro debbono imparare a discutere ed a
dividersi, senza sentire né il bisogno di mediare preventivamente la propria
personale posizione, né la tentazione di aggiungere alla critica della posizione
avversaria qualche aggettivo
di troppo. Perché, credo, il fatto di militare nello stesso Partito dovrebbe
consentirci di presupporre nell'altro la nostra stessa lealtà e dunque
permetterci una discussione serena. Imparare a discutere,
senza durezze inutili né autoritarismi di posizione, è importante: se
l'obiettivo, comunque, è quello del rilancio del Partito comunista italiano, e
non la sua liquidazione.
Questo
significa il rispetto delle convinzioni e del linguaggio degli altri, della
problematicità della situazione. Non è con la propaganda della svolta che ai
fanno le svolte; come non è con il decisionismo che si affrettano davvero le
decisioni.
Tratto da Renato Nicolini, Impariamo a discutere, l'Unità, 1 dicembre 1989.
Nessun commento:
Posta un commento